Wolfhetan – “Vor Uns Das Feuer, Über Uns Der Himmel” (2023)

Artist: Wolfhetan
Title: Vor Uns Das Feuer, Über Uns Der Himmel
Label: Eisenwald Tonschmiede
Year: 2023
Genre: Black/Folk Metal
Country: Germania

Tracklist:
1. “In Der Ferne”
2. “Das Atmen Der Steine”
3. “Sinnflut”
4. “In Allem”
5. “Aus Nichts”
6. “Vor Uns Das Feuer…”
7. “…Über Uns Der Himmel”
8. “Mein Traum Aus Eis”

Siamo soliti affermare che ogni grande cosa richieda tempo. Siamo a ragione abituati a ritenere che qualunque grande opera, qualunque mirabile impresa e qualsivoglia importante traguardo personale, collettivo, individuale o sociale che possa perdurare abbia in effetti la necessità di prepararsi lungo una grande sequenza di essenziali momenti che si dispongono come gradini di una scala verso la meta, spesso ignota fino al punto di non ritorno: persino le sconvolgenti ed apparentemente fulminee rivoluzioni che separano un prima da un dopo, quelle i cui esiti si ripercuotono in realtà sui più lunghi anni e per intere epoche a venire rispetto allo zenith, abbisognano se analizzate di una lunga serie d’invisibili istanti preparativi in cui si alzi sempre più in alto il martello – e più vicino alle altezze dei cieli questo giunge nel farlo, più devastante sarà del resto l’impatto una volta fattosi fuoco primordiale e incendio al contatto con la terra, in caduta come pioggia di lapilli. E quelle microscopiche sezioni d’infinito, proprio di quel tempo nemico giurato dell’uomo che ironicamente sembra l’artefice ultimo della disfatta e del decadimento, diventano quindi oltremodo fondamentali nella loro profonda ambivalenza; allo stesso tempo quella di figura rivale in una gara che ritrova l’essere senziente il più delle volte a correrci contro, sfidato dallo scorrere impietoso e dalla mancanza di abbastanza stagioni a susseguirsi, lungo le quali coltivare ed affinare il proprio operato, ma anche motore stesso della creazione – catalizzatore del cambiamento e della nascita di qualsiasi autentico valore.

Il logo della band

Mentre d’innanzi a noi si profila la grandezza distruttiva e consumante delle fiamme – sopra di noi, in attesa, pazienta il firmamento. Di questa duplicità naturale, di tutta questa doppiezza equivoca pare essere, prima di qualunque altra cosa, figlio concettuale e fattuale il nuovo “Vor Uns Das Feuer, Über Uns Der Himmel” dei tedeschi Wolfhetan. Non soltanto in quanto, banalmente, lo schivo collettivo della Turingia ha sempre mostrato di essere in un certo senso refrattario (benché non incurante – ci torniamo tra le righe) allo scorrere del tempo, prendendosene in abbondanza già tra il 2006 del fulminante debutto “Entrückung” e la squisitezza ambiziosa del “Was Der Tag Nicht Ahnt” concretizzatosi su disco solo sei inverni più tardi; ma perché l’interezza contestuale e co-testuale del nuovo e terzo parto della band è dal medesimo scorrere dei quasi raddoppiati dodici anni trascorsi che sembra essere stato creato, tanto quanto può averne dolorosamente sofferto. Oltre una decade sicuramente non necessaria, infatti, alla mera preparazione o esecuzione della musica contenutavi (totalmente pronta fin dal lontano 2017, forse prima); eppure di beffardo rimando ancor più giustificativa ed informante, se vogliamo, del monumentale timing complessivo che richiede -per l’appunto- tempo e disposizione all’ascoltatore: che richiede tempo proprio come ognuna di quelle cose più grandi, più riuscite, più eccellenti, longeve e destinate al non venir scalfite, una volta affermatesi per restare, dal suo crudele scorrere e così resistergli come millenarie rocce erose ma impassibili sotto e sopra il fluire della corrente, dotate di un respiro, una saggezza e di una voce propria tutte da ascoltare.

Che il filare delle tre di Urðarbrunnr movente l’infinita ruota, che il potente soffio del figlio d’Urano sia il responsabile della sua rotazione totale per cui la carne lascia spazio alle sole ossa, o per cui il fiorire di un mazzo di fiori lascia spazio ad un teschio cavo, emerga dunque proprio quale grande tema di sviluppo e riflessione filosofica alla base di “Vor Uns Das Feuer, Über Uns Der Himmel” diventa una, se vogliamo, curiosa senonchè maggiormente avvalorante ed avvincente circostanza creativa. Uno di quegli allineamenti che danno ancor più vita a un’opera regalando una tridimensionalità tra esistenza prosaicamente tangibile ed arte la quale è d’altro canto assoluto dono della irripetibile casualità. La proverbiale ciliegina su di una torta che sicuramente e necessariamente deve già essere succulenta e squisita così com’è stata creata, ma che in base al contesto in cui viene assaporata può elevarsi e regalare ciò che nelle intenzioni dell’autore nemmeno poteva esistere. Che dunque il concept, fil rouge lungo il quale si sviluppa la musica dell’album sia l’osservazione del tempo stesso diviene fatto similmente provvidenziale nella sua ovvia mancanza di premeditazione; dunque fatto probabilmente ininfluente in fatto di speculazioni sulla sua genesi, donando però, date le circostanze, ancor più motivo di riflessione all’ascolto di composizioni che nel tempo sembrano già essere cristallizzate come preziosi minerali di un tempo remoto che sarà: che fuori dal tempo sembrano d’altro canto operare con il loro suono alieno a qualunque moda e qualunque epoca stilistica; registrate oggi, dieci anni fa o tra quattro -che importa?-, fedeli unicamente alla propria inscalfibile poetica pagano-romantica che opera a netta distanza da sempre inazzeccati paragoni. Atmosferici e nondimeno gretti, scarni e tuttavia splendidamente ricchi d’idee squisite e d’intensità esecutiva nonché emotiva (si pensi all’inizio di “Sinnflut”, dove il fiato resta sospeso in schegge di note che ricuciono l’eternità in secondi e minuti prima di una inaspettata concretizzazione tutta germanica memore del debutto), di straziante stoicismo che affronta il dolore con contegno e dignità, di piena oscurità e aperture di una sconfinata luminosità inedita (i cori nuovi della stupenda “…Über Uns Der Himmel” come di “Der Atmen Der Steine”, per non parlare del calore delle fiamme che danzano nella seconda metà del terzo pezzo); capaci di dare il meglio soltanto se si raggiungono determinati minutaggi sotto i quali diventa fisiologicamente impossibile restare intrappolati in una simile ragnatela di sensazioni ogni momento in crescendo – e cionostante dritti al punto come solo l’esiziale e saldo artiglio del Black Metal tedesco sa essere. Tristi come la volta celeste al risveglio, dotati di tutta la lacustre malinconia acustica dei Tenhi (il pianoforte che apre e ricompare durante la lunga “In Allem” è a ben sentire quasi una dichiarazione d’amore verso i finlandesi, nonché un presumibilmente circostanziale accenno agli altri desaparecidos Downfall Of Nur di “Umbras De Barbagia”, più per influenze e sensibilità comune che altro), come dimostrano non solo i passaggi già favolosi nel precedente monumento discografico (qui in regalo nell’intera “Vor Uns Das Feuer…”, dove i Vàli e una certa classe di alunni “Whom The Moon A Nightsong Sings” incontrano i monti turingi di “Buchonia” dei Menhir), ma anche e soprattutto della grinta scabra di riff perennemente inusuali, gustosi oltre ogni dire ed interessantissimi nelle loro contrapposizioni (“Aus Nichts”, o le trasformazioni da capogiro della stellata umbratile che è la già citata “…Über Uns Der Himmel”), dagli sviluppi imprevedibili e contrappuntati con eleganza sconfinata da quell’importantissimo basso che sempre ricama melodie inconsce alla maniera nordica -sicuro lanternino d’ispirazione compositiva- rendendo ogni giro puntualmente differente da quel che lo precede, come tuoni di tempeste in lontananza.
La tensione ipnotica che riescono a costruire i Wolfhetan lungo l’interezza dei complessi brani del loro terzo album è infatti non soltanto qualcosa di estremamente palpabile, di sincerissimo e genuino come poche cose a questo mondo, bensì una forza magnetica sempre più forte di ascolto in ascolto, diventando d’eccezione e commovente quando nel connubio di elettrico e acustico in scuola Lunar Aurora di “Zyklus” esplode, la quale ci lascia qui in dono due dei suoi momenti più alti di sempre: prima nella seconda parte di title-track spezzata e poi nella stupenda ripresa di flauto (ad opera di Gesina Schiller, già al lavoro con la band su “Entrückung”) che accompagna in coda di “Mein Traum Aus Eis” verso un finale di pezzo e disco da lacrime; elementi costruttivi che, insieme ad un flow magistralmente orchestrato nel complesso nonostante la difficoltà singolare di ogni singolo pezzo, ne fanno un disco da ascoltare e riascoltare con religiosa attenzione, con calma, pazienza e i giusti momenti da dedicarvi e dedicarsi.

Una riflessione dalla classe unica; una solitaria, serale dissertazione con sé stessi, accanto al fuoco o al chiarore soffuso di una calda, ingiallita abat jour in legno scuro e nodoso, odendo nel nulla le risposte di un rapace notturno che alla luce pallida della luna intona con dolcezza una canzone amara, mentre il tempo passa senza aspettare nessuno, mietendo vittime là fuori nel freddo del mondo. Senza curar da solo le ferite antiche come e più della memoria, sentimenti perduti nella volgarità della vita quotidiana a cui sopravvivere grazie a momenti di profonda alchimia di suono e spirito come quelli che “Vor Uns Das Feuer, Über Uns Der Himmel” è capace di regalare con grazia e vigore insieme. E nella mente si delinea l’immagine di un tramonto di fuoco ed oro in cui acqua, cielo, fronde e terra dipingono una cosa sola, soggetto e cornice all’unisono, percependo vento e pioggia sul viso, nebbia nelle membra e silenzio nella ragione. In ciò una consapevolezza che sfoltisce le prospettive: tutto quel che ci è dato è la scelta di cosa fare con i tempi ed il preciso tempo che è concesso a nostra disposizione; quello che ci separa e ci unisce, quello che vorremmo rivivere e quello che temiamo come un incubo perché quando non ci saremo più, a nostro dispetto, lui ci sarà ancora. Perché il tempo è il nemico, ma è anche tutto ciò che abbiamo. E forse proprio perciò è nostro nemico più acerrimo.

Matteo “Theo” Damiani

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